Saramago, l’uomo che giocava con la lingua portoghese
19/06/2016 blog

di Alexandra Antunes

Il 16 novembre del 1922, nacque nella regione del Ribatejo colui che gli anni avrebbero trasformato in un grande scrittore. José Saramago, l’unico premio Nobel portoghese (1998), crebbe tra le campagne di Azinhaga e la città di Lisboa, dove visse gran parte della sua vita.

Nel 1947 vide la luce il primo libro: Terra do Pecado. Nel corso degli anni, furono pubblicate decine di opere. Cronache, racconti, romanzi, teatro, poesie, opere per l’infanzia e di viaggio, diari, memorie. Tutto con uno stile unico e inconfondibile che si è andato sviluppando nel tempo, difficile da dimenticare.

In Clarabóia – un libro appena pubblicato nel 2011 ma scritto all’inizio della carriera – vediamo un autore che critica la società e disegna personaggi che, al di là delle trivialità della vita e della convivenza con i vicini di casa, non mancano di rivelare un lato spirituale, che ci conduce alla riflessione. Finora però l’uomo delle virgole non si era ancora manifestato. Le frasi di Saramago restavano concise, raggiungendo l’autore con apparente semplicità.

La stessa cosa, invece, non si verifica in Memorial do Convento (1982): le lunghe descrizioni della preparazione e costruzione del convento di Mafra, opera del re assolutista D. João V, riempiono righe su righe (o addirittura pagine) senza che venga utilizzato un punto finale. Con una punteggiatura che sovverte la norma, Saramago si afferma nel panorama letterario e si differenzia per l’originalità del suo stile. Con il dipanarsi della storia, lo scrittore presenta al lettore lo svolgimento della relazione tra Baltasar Sette-Soli e Blimunda Sette-Lune e racconta la costruzione di una macchina volante – la Passarola –, denunciando la separazione tra ricchi e poveri e non risparmiando al contempo critiche alla corruzione religiosa. In Italia, Blimunda è divenuta un’opera lirica in tre atti, per mano di Azio Corghi.

José Saramago, ateo dichiarato, non si è imposto limiti di parola per quanto riguarda le sue idee sulla Chiesa e su Dio. Ne In Nomine Dei (1993), tra dialoghi sulla vita e sulla morte e a proposito di una lotta tra cattolici e protestanti, traccia una figura di un Dio in nome del quale l’essere umano agisce commettendo i crimini più odiosi. Critiche feroci alla religione sono presenti in libri come O Evangelho Segundo Jesus Cristo (1991) o Caim (2009).

In A jangada de Pedra (1986), il mondo viene descritto dal Nobel portoghese come «una commedia degli inganni», in cui le costanti coincidenze sono ciò che realmente muove l’universo. Le relazioni umane attraggono, qui, l’attenzione dello scrittore. Che cosa succede? Perché? Quali sono i passi che l’Uomo compie e in vista di quale obiettivo finale? In questa storia, che racconta di una Penisola Iberica che si separa dal resto dell’Europa, si può trovare un’altra caratteristica di questo stile di scrittura irriverente. Lungo la narrazione, i dialoghi non vengono distaccati, ma bensì incorporati nel restante testo, senza l’uso del trattino ad indicare il loro inizio e senza punti interrogativi o esclamativi.

Il giocare con la punteggiatura e con la lingua portoghese è stata una costante nell’opera quest’uomo che, ad un certo momento della vita, ha lasciato il fiume Tejo per l’Atlantico che si vede da Lanzarote, nelle Isole Canarie. È proprio con un riferimento al mare – capovolgendo un verso di Camões – che inizia O ano da Morte de Ricardo Reis (1984), un libro che si azzarda di dare una fine ad uno degli eteronimi di Fernando Pessoa. Lungo la trama, i più attenti e i conoscitori dell’opera del poeta portoghese, possono trovare versi di poesie che, in un caso pensato, completano i discorsi di qualche personaggio o esprimono qualche emozione o pensiero.

Lasciando un’opera immensa, Saramago è passato all’altro mondo – ci crederebbe lui stesso? – il 18 Giugno del 2010. Chi visita Lisbona può incontrarsi con lo scrittore e con la sua opera nella Casa dos Bicos, ora Fondazione José Saramago. Ed è di fronte all’edificio, sotto un ulivo di Azinhaga, che si trova una parte delle ceneri di colui che «non è salito alle stelle, se alla terra apparteneva».

Traduzione dal portoghese di Luca Onesti.

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