La grafia di sé stesso: norma linguistica e scelta editoriale.
05/09/2015 blog

di Alfonso Natale 

I lettori del nostro blog più attenti all’ortografia avranno notato che, contrariamente all’uso prevalente nel mondo editoriale e alle norme che vengono talora insegnate a scuola, abbiamo qualche volta pubblicato con l’accento il nesso sé stesso. Non si tratta di un vezzo capriccioso, tanto per distinguerci e andare controcorrente, ma della scelta di un sistema grafematico più semplice e rigoroso.

La norma ‘scolastica’ invalsa in tutti i settori dell’editoria prescrive infatti di porre l’accento sul pronome , ma di evitarlo quando questo sia seguito da stesso e medesimo, poiché in tali casi non si confonde con la congiunzione se e non è quindi necessario distinguerlo: non esistono infatti voci verbali come stesso o medesimo, né questi pronomi possono fare le veci dei sostantivi se non preceduti dall’articolo (del tipo *se stesso non torna a casa in luogo di se egli, se lui, se lo stesso).

In base a tali considerazioni si viene però a creare un sistema complicato e farraginoso. Infatti lo stesso vocabolo, ossia il con valore di pronome, viene ad assumere due diverse grafie in una lingua come quella italiana, che invece è tendenzialmente fonematica e vanta un sistema grafico più semplice e più aderente alla pronuncia di molte altre lingue. Ciò potrebbe creare difficoltà a chi non è un madrelingua. Se per noi infatti è semplice distinguere il pronome dalla congiunzione, immaginiamo però alle prese con queste distinzioni il locutore di una lingua alquanto distante dall’italiano (arabo, coreano, cinese) che desidera imparare la lingua di Dante; esse non farebbero che rendergli più gravoso il compito di acquisire una retta grafia. E del resto ciò potrebbe valere anche per chi parla lingue indoeuropee a noi più vicine, persino lingue latine. Un francofono dovrebbe per esempio imparare che la congiunzione si della sua lingua in italiano si traduce se, mentre soi si traduce , tuttavia ci sono alcuni casi dove è inutile scrivere , e allora si scriverà se, che però normalmente significa in francese si.

Alle prese con le eccezioni che rendono inutile l’accento, il nostro straniero potrebbe tuttavia chiedersi – e ce lo chiediamo anche noi: i plurali se stessi e se stesse potrebbero essere interpretati anche come se io stessi e se lui stesse; perché allora non recano il segno distintivo dell’accento? Per coerenza – si risponde – con le forme singolari se stesso e se stessa. Ma questo rende le cose ancora più complicate, e, crediamo, inutilmente complicate. Il criterio stesso che spinge a non mettere l’accento sul in questi casi è accantonato a favore di quello dell’analogia, ma in base a che cosa si stabilisce il criterio che deve prevalere?

D’altra parte, premesso che in italiano l’accento sui monosillabi ha una funzione diacritica, serve cioè a distinguere gli omofoni che hanno diverso significato, perché non applicare il criterio che porta alla grafia se stesso anche agli altri monosillabi? Molti già lo fanno a proposito del , che sempre più spesso è scritto senza accento. Udendo la sposa che nel giorno delle nozze dice «Sì, lo voglio» non pensiamo affatto che quel possa essere confuso con il pronome di quando lei e lo sposo si scambiano gli anelli, si congedano dai loro ospiti e si recano in luna di miele. Tanto varrebbe scrivere Si, lo voglio: il criterio seguito sarebbe il medesimo. Del resto, sugli SMS chi di noi non ha mai scritto allo stesso modo ne e , vuoi per la fretta, vuoi perché impacciati di fronte al T9, vuoi perché tanto chi ci legge non è mica il nostro prof e cmq ci capisce lo stesso? Così se Marcello, tornato da Napoli, a Fabio una sfogliatella o un babà, e nessuno confonde la preposizione e il verbo, tanto vale estendere la moda dei messaggini anche a questo caso, e scrivere tranquillamente da a Fabio.

E via di questo passo… Allora per coerenza la maestrina, o il pedante professore di italiano, non dovranno più inorridire rimpiangendo i loro tempi quando vedranno il verbo essere alla terza persona scritto come la congiunzione: Maria e stata a Parigi e ci e andata con l’aereo. In queste due frasi non è proprio possibile scambiare le due voci dell’ausiliare con il connettivo che unisce le due proposizioni, e quindi e possibile scriverli allo stesso modo, non e vero? Chi ha letto l’ultimo rigo non dica che ha trovato difficoltà a decodificare i due monosillabi e, anche se sono due parole completamente diverse, anche a livello di pronuncia. Dunque se l’accento è un segno diacritico, nei contesti in cui è non si confonde con e tanto vale non metterlo; con se stesso seguiamo esattamente questo ragionamento.

Dai pochi esempi fatti abbiamo cercato di dimostrare la sostanziale incoerenza della norma che prescrive le grafie se stesso e se medesimo. Va osservato che le norme ortografiche di una lingua sono soggette a cambiamenti nel corso dei secoli: è noto che se pronome nell’Ottocento era scritto spesso senza accento (ed è forse questa l’origine della regola farraginosa), ma nella Quarantana dei Promessi Sposi prevale la grafia sè stesso/i, con accento grave. E l’accento grave prevaleva anche su polisillabi come perchè, giacchè nella prima metà del XX secolo, mentre oggi nei programmi di scrittura sul nostro computer è impostata la correzione automatica a favore dell’accento acuto. Parimenti nei testi di Pirandello balza subito agli occhi la distinzione fra avverbio e su preposizione. Ma attualmente qual è la tendenza delle norme e degli usi ortografici?

L’accento serve, come già chiarito, a distinguere i monosillabi e ciò vale allo stesso modo per è ed e, dà e da, né e ne, sé e se,e di (con la grafia di’ alternativa a per l’imperativo, laddove è anche sostantivo). Solo in qualche caso si registrano delle oscillazioni: verbo è sempre più di rado distinto dalla nota musicale, la distinzione pirandelliana ricordata è desueta. Le grafie sé stesso/a/i/e e sé medesimo/a/i/e sono ammissibili perché coerenti con questa regola: se decidiamo di usare l’accento con funzione diacritica dobbiamo coerentemente farlo in tutti i casi, senza distinzioni complicate. Le forme senza accento erano in genere considerate più corrette, sia pure senza alcun fondamento, ma i linguisti (vedi il link alla fine dell’articolo) preferiscono la maggiore coerenza con il sistema grafematico implicato dalle grafie accentate, di cui negli ultimi tempi le stesse grammatiche scolastiche consigliano finalmente l’uso.

La scelta redazionale che abbiamo fatto è ispirata ai criteri di rigore logico, di semplicità e, possiamo dire, di scientificità: se il monosillabo è un pronome, avrà in tutti i casi l’accento; se è una congiunzione, non lo recherà. E tuttavia la nostra scelta si scontra con il fiume di pubblicazioni delle principali case editrici in cui la grafia è sempre inevitabilmente se stesso. Ci sembra tuttavia opportuno insistere con questa grafia, nella consapevolezza di optare per la soluzione più corretta, e nella convinzione che anche in questioni di importanza forse relativa, quale può essere l’ortografia di una particella, possiamo dimostrare la serietà del nostro impegno.

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Sitografia

Si riporta un link alla pagina dell’Accademia della Crusca, che è aperto alla grafia senza accento, ma che è corredato da alcuni importanti rinvii bibliografici. Sul fronte opposto si attestano Patrizia Petricola in una pagina dell’Enciclopedia Treccani online e l’anonimo compilatore di Wikipedia.

http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/accentazione-pronome-stesso

http://www.treccani.it/enciclopedia/se-stesso-se-stesso-prontuario_%28Enciclopedia_dell’Italiano%29/

https://it.wikipedia.org/wiki/Accento_distintivo_sui_monosillabi#.C3.88

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