Gesù beveva birra
08/10/2015 blog

di Luca Onesti

La tradizione cristiana ha parlato del vino come della bevanda della Nuova alleanza. Le parole pronunciate nell’ultima cena parlano del vino come sangue di Cristo: attraverso di esso avviene la perpetuazione, in maniera reale e non simbolica con l’Eucarestia, del sacrificio di Cristo per gli uomini. E d’altra parte, la bevanda ricavata dall’uva ha avuto in molte altre tradizioni religiose un ruolo simbolico fondamentale. Ma il vino era anche la bevanda degli oppressori, dei romani che all’epoca erano gli occupanti della Palestina. Nel popolo palestinese doveva essere più diffuso l’uso di bere la birra, risultato della fermentazione dei cereali. I documenti parlano anzi di una florida industria di produzione della birra in Egitto e di una importazione, in Palestina, della birra egiziana. Se è così, chi ci assicura che durante l’ultima cena Gesù non abbia bevuto birra invece che vino?

Afonso Cruz è illustratore, regista di film di animazione, scrittore e musicista nella band The Soaked Lamb. Oltre ad essere un viaggiatore è, non poteva essere altrimenti, un produttore artigianale di birra. Nato a Figueira da Foz, in Portogallo, nel 1971, ha frequentato la scuola “António Arroio” a Lisbona, un liceo artistico specializzato sulle arti visuali, e poi la facoltà di Belle Arti di Lisbona e l’Istituto superiore di arti plastiche a Madeira.

La sua carriera inizia nel campo dei film di animazione, ma presto sviluppa la poliedricità che lo contraddistingue. Alcuni sui libri sono il risultato della sua doppia formazione di illustratore e scrittore, ad esempio O Pintor Debaixo do Lava-Loiças (Il pittore sotto il lavandino), la ricostruzione della vita di un pittore slovacco rifugiato in Portogallo a causa del nazismo, e la sua Enciclopédia da História Universal (Enciclopedia della storia universale), una sorta di borgesiana enciclopedia immaginaria.

Jesus Cristo bebia cerveja (Alfaguara, 2012), è il suo libro di maggior successo. Tradotto in molte lingue, è stato recentemente pubblicato in Italia da La Nuova Frontiera con il titolo Gesù beveva birra, nella traduzione di Marta Silvetti.

In un paese dell’Alentejo (regione in cui si è trasferito da pochi anni anche lo stesso Afonso Cruz), nel sud del Portogallo, vive Rosa, una ragazza che, dopo la morte dei genitori, si deve prendere cura di sua nonna Antónia, ormai non più autosuffiente. Il padre di Rosa aveva quattro nomi, Giovanni Luca Marco Matteo, perché così Antónia, sua madre, credeva che ognuno degli evangelisti lo avrebbe protetto come in una formazione di guardie del corpo. Giovanni Luca Marco Matteo è un uomo rozzo e attaccabrighe, ma si è sposato con una donna colta e delicata, che però si stanca ben presto della vita di campagna e decide di andare via, verso la capitale. Pentita deciderà di tornare ma Rosa non crederà più che quella donna sia sua madre, le sue mani fredde e la sua aura da donna redenta dal peccato le faranno pensare che la stessa Vergine Maria si sia sostituita a sua madre.

L’incipit in chiave ironico-religiosa ci introduce così alla storia di Rosa, del professor Borja e della serie di bizzarri personaggi che compongono questo libro. Una ricca inglese che ha comprato un villaggio, si è fatta costriuire un letto all’interno dello scheletro di una balena e organizza delle cene in cui discutono tra loro un bramino indiano, uno stregone africano e un ateo materialista (il professore stesso); e poi un agente di polizia dai modi bruschi, una spogliarellista, un giovane pastore che va in giro con una torcia elettrica.

Antónia, la nonna di cui la ragazza si prende cura, ha espresso il desiderio di vedere Gerusalemme e la Terra Santa prima di morire.

Dio ha voluto mandare suo figlio in un luogo dove dove gli uomini devono lavorare duro per avere dalla terra il sufficiente per vivere. E la Palestina di duemila anni fa ha con l’Alentejo, la regione rurale del sud del Portogallo, in comune il paesaggio brullo, il sole a picco e un’economia agricola e povera. Per realizzare il desiderio di Antónia allora non c’è bisogno di andare a Gerusalemme, perché la Terra Santa può essere ricreata, con verosimiglianza, in Alentejo. Ed ecco che un lago si trasforma nel mar Morto, che alcuni paesi visti in lontananza vengono scambiati per Gerico o Betlemme, e che il paese dove il professore vive, proprietà della ricca inglese Miss Whittemore – nel sud del Portogallo, più in Algarve che in Alentejo, si può dire che i paesi comprati dagli inglesi esistano veramente, visti i numeri dell’industria turistica e degli investimenti immobiliari stranieri –, viene trasformato in una specie di grande set cinematografico, con persone in costume di ebrei ortodossi e altre di arabi.

La messa in scena riuscirà? Come faranno il professore, Rosa e i loro complici a far credere alla nonna che ha realmente preso l’aereo per andare fino a Gerusalemme? Meglio non svelarlo, anche se la trama di questo libro va al di là della linearità di questo canovaccio narrativo. Gesù beveva birra è insieme una commedia surreale e anche e soprattutto una lunga, ironica e filosofica riflessione sulla religiosità, e sul suo opposto, la mentalità scientifica, sulle idee che guidano la vita e sulla vita che fa irruzione in chi è troppo pieno di idee.

Il professore e Rosa sono come due poli opposti, lei è adolescente e senza istruzione, lui vecchio e antiquato, sovraccarico di cultura e scienza.

È razionalista e materialista, scettico e geometrico il professore. Ma le sue teorie spesso fanno sorridere, o suscitano reazioni di offesa e di incomprensione. Gli capita di sedurre una ragazza parlando di Niccolò Cusano, ma lui stesso non riesce a spiegarsi il motivo dell’effetto erotico che la sua spiegazione filologica ha suscitato. La sua innocua rivoluzione consiste nello scrivere delle frasi su un muro, come faceva il filosofo epicureista Diogene di Enoanda nel I secolo d.C. e di ripetere il graffiti filosofico ogni qual volta il muro viene imbiancato. Dietro la scorza di scienziato si nasconde insomma uno spirito romantico e a volte un po’ infantile.

E se il professore aveva un tempo fatto professione di aristotelismo, negando l’esistenza del vuoto (natura abhorret vacuum), il dolore del suo vissuto gli aveva già dimostrato il contrario, perché il vuoto può esistere nel proprio cuore, e proprio perché vuoto non occupa spazio, un vuoto può sommarsi ad un altro vuoto così come un dolore può seguire ad un altro dolore senza che possiamo sentirci garantiti da una già raggiunta saturazione. Ma al professore accadrà ancora qualcosa, l’incontro con Rosa appunto, che sarà capace di scuotere la sua vita fin dalle fondamenta.

Rosa, al contrario, è istintiva e nonostante l’età sembra sapere sempre quello che vuole. Dietro la sua semplicità apparente nasconde pensieri e suggestioni di una oscura profondità, e sembra quasi, per il modo che ha di relazionarsi alle cose e agli accadimenti, uscita da un romanzo di realismo magico sudamericano. Con la sua irreligiosità e il suo modo di distorcere in maniera grottesca alcuni aspetti della realtà, Rosa appare molto più complessa e cinica (come un altro Diogene della filosofia greca antica, Diogene di Sinope) di quanto possa far credere la sua ingenuità di superficie.

Tra Rosa e il professore non c’è quasi dialogo, quando lui si dilunga a parlarle della fisiologia dell’amore e delle sue complicate leggi chimiche, con l’entusiamo che le leggi precise e miracolose della genetica suscitano in lui, Rosa gli risponde a minosillabi, gli dà ragione e pensa ad altro. Ma anche così i loro pensieri si incastrano tra loro, e il libro a tratti ricorda un dialogo platonico, in cui le posizioni diverse si contraddicono pur non escludendosi l’una con l’altra: è una delle cose più belle del libro, che pagina dopo pagina si diverte a costruire ardite teorie filosofiche, per poi buttarle giù come fa il vento con dei castelli di sabbia.

Ma non c’è maieutica possibile, almeno non in senso platonico. Come tutt’altro che platonici sono i commenti che il parroco del paese fa confidenzialmente al professore sulle forme esuberanti della ragazza. Anche il rapporto maestro-discepolo appare invertito: se c’è una storia di formazione in questo libro, questa riguarda proprio il vecchio professore, che, prima era “parallelo a sè stesso” ed ora, da innocuo studioso, si trova a diventare, per amore, quasi uno degli eroi spietati e romantici dei romanzi western che piacciono a Rosa, fino ad essere come fagocitato dall’immaginario della ragazza.

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Pingback da Caffèorchidea – Letteratura è mondo - 6 ottobre 2016 alle 14:44

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Pingback da Caffèorchidea – Letteratura è mondo - 7 ottobre 2016 alle 00:19

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