La Commedia Umana dell’Expo. Fine viaggio.
01/10/2015 blog

di Giuseppe Avigliano

Siamo arrivati all’Expo abbastanza presto. La fila ai tornelli d’ingresso era già lunga, ma non scoraggiante. Così poco prima delle dieci eravamo già dentro.
Il padiglione zero ci offre una narrazione importante della storia del cibo e di come l’uomo se lo sia procurato nel corso della storia. Ne usciamo affascinati, un po’ frastornati dall’uso abbondante di proiezioni, sculture e suoni. Se questo è l’inizio, ci diciamo, promette bene.
Così eccoci sul Decumano. Cartina alla mano, cominciamo a districarci fra i padiglioni. È qui che si rivela, subito, l’insostenibile ingorgo delle file e la nauseante attesa per gli ingressi. Rinunciamo ai padiglioni più affollati (Al Brasile fanno file di tre ore per camminare su una rete tesa a mezzaria. Sentiamo una signora che vanta un’attesa al Giappone di sette ore. Russia, Cina e Palazzo Italia, sono altrettanto inavvicinabili.) Procediamo per esclusione: entriamo dove l’attesa è sostenibile.
A fine giornata abbiamo visitato una trentina di padiglioni. Più della metà sono solo stanze con bancarelle che si possono incontrare a una qualsiasi fiera di paese. Lo spazio della Grecia è un piccolo alveare che riduce una storia eccezionale in un assunto: qui produciamo miele. L’Angola è uno sfarzo di suoni e video intorno alla stilizzazione di un enorme Baobab. In Spagna c’è una stanza con migliaia di piatti, che funzionano da schermo per le proiezioni di video. Il Vaticano proietta un film e regala magneti. L’Unione Europea mette in campo l’ennesima narrazione infantile per spiegare con mille belle parole e tanti giri lunghi che l’unione dei paesi fa la forza.

Ok, a metà giornata lo smagamento è già totale. Laddove c’è il tentativo di una narrazione, pare si stia parlando a bambini delle scuole elementari. Tutto è costruito per sorprendere i sensi più facili da catturare: le geometrie dei padiglioni dall’esterno e l’abuso di proiezioni all’interno per abbagliare la vista. La confusione degli annunci pubblicitari sul Decumano e delle musiche altissime negli ambienti chiusi per stordire l’udito. Giochi banali e schermi interattivi per favorire il tatto. In una esposizione dedicata al cibo, non un solo invito all’olfatto. Tanti per il gusto: ma a caro prezzo.
La sera allo spettacolo dell’albero della vita ho la conferma di tutto. Musica a tutto volume, luci, giochi d’acqua. Pare di stare intorno al cubo di una gigantesca discoteca labirinto grande un centinaio di chilometri dalla quale non si possa uscire…

Il viaggio è finito. L’ abbiamo cominciato in un’atmosfera da tardo romanticismo: tour esplorativo, diario di viaggio, musei, chiese, paesaggi. L’abbiamo concluso in un salone decadente, che si sforza di mettere in mostra sugli scaffali più in vista i gioielli migliori. Noi due in giro per quel salone sembravamo come due borghesotti usciti da un romanzo di Balzac, che si sforzano di partecipare ad una società di cui deplorano l’inutile sfarzo.

Non ne usciremo fuori da questa Commedia Umana. Per qualche giorno abbiamo provato a graffiarla, tradendo la norma delle nostre abitudini. Ora ci siamo già ripiombati dentro.

Ho notato che Prešerev non è tradotto in italiano. Poco male, proverò a tradurlo dall’inglese. Mi sembrerà di viaggiare. Questa volta solo con le parole.

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Dell’Expo ne abbiamo già parlato Qui

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Comment da Claudia - 15 ottobre 2015 alle 12:13

A quanto sembra, non è stata proprio una bella esperienza considerando quanto hai viaggiato,hai visto con i tuoi occhi realmente le abitudini e usi di molti paesi presenti all’expo. Ma nonostante le file interminabili, è pur sempre un ricordo da archiviare nella mente e…chissà potrebbe tornare utile. ciaoo