Milano, la letteratura e l’Expo
01/05/2015 blog

Le città intrattengono un dialogo privilegiato con la letteratura. Da sempre. Anzi – a voler essere precisi – almeno fin dalla nascita del romanzo. Se c’è un posto che più di ogni altro ha favorito tale dialogo è l’Inghilterra ottocentesca. E se c’è uno scrittore – uno in particolare – quello è Charles Dickens.

La città letteraria ottocentesca è luogo di Great Expectations e Illusions perdues, per dirla con due titoli. Se il primo lascia sospesa e indeterminata la possibilità di realizzare le aspettative, il secondo titolo non indugia nell’avvertire il lettore, fin dall’inizio, dello svelamento della realtà cittadina. Dickens e Balzac molto hanno contribuito alla costruzione delle città. Tanto quanto gli architetti e gli ingegneri le hanno dato una forma (fisica), allo stesso modo gli scrittori le hanno conferito un’immagine e uno spessore idealistico che non di meno ha influito sullo sviluppo urbano.

 

Milano dopo Manzoni

Milano è la città di Alessandro Manzoni ed il suo nome è inscindibilmente legato ai Promessi Sposi. Ma se superiamo il diciannovesimo secolo e ci inoltriamo nelle pagine successive, l’immagine della città fra le pagine della letteratura si complica in un mosaico di ambientazioni che rimandano a uno spazio suggestivo. Difficile da sintetizzare.

A noi piace ripercorrere Milano fra le pagine di tre racconti di tre scrittori – fra i più notevoli nell’arte del racconto del secolo scorso.

 

I ritagli di tempo  – Carlo Emilio Gadda (1944)

I Caviggioni sono ingegneri, perlopiù. Sono della Milano bene e aspettano con animo e curiosità sempre verde il week-end milanese. Per meglio vacare allo studio delle lingue che oggi è la base”  […] finivano quasi regolarmente per incappar soci del Circolo Filologico Milanese.

Milano è dietro i battenti delle finestre, con quella nebbiolina color Santambrogio con gli squilli dei tram che gli arrivavano attenuati e come ovattati a domicilio su meravigliosi tappeti.

La qualità dei ritagli di tempo dei Caviggioni e i loro grotteschi tentativi di “innalzamento” – dallo studio del tedesco al tentativo di destreggiarsi nell’arte del sonetto – rivelano la vita dei salotti buoni della città, il loro isolamento nei confronti di una città – e di un’arte – che mai arrivano a vivere ( o raggiungere).

 

Milano non esiste  – Tommaso Landolfi (1975)

“Arrivando col treno mi dicevo “Mi-la-no; che bella e scorrevole parola…” . Ma al suo arrivo alla stazione, il protagonista trova una città buia a causa dell’oscuramento bellico. Ed anche lui è buio, non si sa per quale motivo. Perché lo è sempre, afferma. Un atteggiamento tipico: giustificare uno stato d’animo con la presunta perennità del male che più si addice.

Milano è una massiccia stazione e forse un fumo. È un albergo sinistro per anonimità e lindura e una donna bionda, slavata, che la realtà sembra accettarla tutta. È un viale (se viale davvero) che sembra alberato e una strada che non si ritrova.

“Sarà da questa parte? Sei sicuro?”. “Ma che sicuro, io non sono sicuro di nulla; proviamo ad andare avanti”. “E se…?”. “…Ci perdiamo? Beh pazienza: sempre, ci si perde e si perde”.

 

Ricordo  – Goffredo Parise (1984)

Milano è il bar, le balere e gli amici comuni di quasi vent’anni fa. Il protagonista torna in città, dove aveva vissuto molti anni, e riconosce nel tassista un amico di infanzia. Poi, su sua indicazione, va a via Montenapoleone, dove Bertino fa il portiere. Le strade di Milano sono semideserte.

Abelardo è rimasto a Milano e fa il tassista. Bartino è rimasto: fa il portiere. C’era una Luna Park, a Milano. L’hanno incendiato.

Il protagonista, Mario, vive a Roma ed è un poeta. I suoi amici gli chiedono se conosce le belle donne di Roma. Se frequentava le attrici.

Milano è il luogo del ricordo. La città non si impone, le strade sono semideserte. “Mandami una cartolina, qualche volta.” Dice Bertino, prima che Mario se ne vada.

Milano ai tempi dell’Expo

Gadda, Landolfi e Parise. Se i protagonisti dei loro racconti varcassero le soglie dell’Expo, oggi? I Gaviggioni del racconto di Gadda, probabilmente, li troveremmo all’inaugurazione, immancabili protagonisti della vita mondana milanese. Mario, del racconto di Parise, coglierebbe l’occasione per andarci in compagnia di Abelardo e Bertino. Avrebbero molto da raccontarsi, e un po’ di cose da rettificare. La Roma cinematografica di Fellini non c’è più. Rimane lo sfacelo dei festini trash organizzati nei palazzi romani e replicati sul grande schermo da Sorrentino. Il protagonista del racconto di Landolfi, infine, fra i padiglioni, continuerebbe a speculare sull’inesistenza delle cose. È un discorso intellettuale – tipicamente landolfiano: si va a Milano, si gioca a carte, ci si perde per le strade, si affitta una camera d’albergo e poi si torna alla stazione. Del protagonista nessuna indicazione, non un nome, non una particolarità fisica. E alla fine lui, da suo palco angolato e irreale; lui – irreale egli stesso – confuta l’esistenza di ciò che gli è intorno.

Milano esiste, è evidente: potremmo dire, sovvertendo il titolo di Landolfi. Esiste anche il protagonista anonimo del racconto; esistono Mario, Abelardo e Bertino ed esistono i Gaviggioni. Li incontrerete di sicuro, da qualche parte, all’Expo.  E non chiedetevi chi sia più o meno reale. La letteratura spariglia le carte. La realtà – ne siamo certi – è proprio nello “sparigliamento”.

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