L’incontro (im)possibile tra Tonio Kröger e Demian
17/04/2015 blog

Una panchina, in un parco qualunque.  

Immaginiamo una panchina qualunque, in un parco qualunque. È il classico gioco della letteratura: inventare posti, renderli il più verosimili possibile. E metterci dentro personaggi e storie.

Sulla nostra panchina ci sono due giovani. Uno tutto immerso nell’ottocento. L’altro già figlio del nuovo secolo.

Tonio Kröger , il primo. Un giovane distinto, dalla schiena aderente alla panchina, il colletto ben sistemato e una certa timidezza nell’aspetto. Pur muovendosi agli albori del Novecento sembra non essere mai uscito dal secolo precedente. Sta lì a discorrere di letteratura e arte. No, non lo fa con supponenza. È ben cosciente di essere uno scrittore amato, ma non se ne vanta. Se ne rammarica, piuttosto. Una volta, in casa di Lisaveta Ivanovna, una fanciulla dai modi eleganti e il pensiero leggero che si addice alle fanciulle di buona famiglia, lei stessa, sua amica, gli aveva confidato che invece di vederlo come un artista, lo vedeva come un borghese su strade sbagliate, Tonio Kröger: un borghese sviato.

E lui ne era rimasto felice. Vi ringrazio, Lisaveta Ivanovna: ora posso tornarmene tranquillo a casa. Sono sistemato.

Così aveva risposto. E non stava mentendo.

Dall’altra parte della panchina siede Sinclair. Espugnato dal titolo, è lui, tuttavia, il protagonista del romanzo Demian di Herman Hesse.  

Sinclair, a differenza di Tonio, è figlio del suo secolo, ne incarna tutte le caratteristiche principali pur ritenendosi – ed essendo – un borderline. Non è un letterato, seppure viva la stessa condizione di disagio, almeno inizialmente, di Tonio. Sussiste, però, una differenza enorme tra i due personaggi. Quando Sinclair matura la consapevolezza della propria condizione, scoprendosi un marchiato, non ne scaturisce una silenziosa repulsione. Si delinea, anzi, sempre più nettamente, un orgoglio malcelato e solo velatamente sofferto. Sinclair appartiene ai marchiati, una sorta di eletti discendenti direttamente dalla stirpe di Caino, posti sulla Terra da un dio superiore a conciliare il bene con il male.

 

Liricità di Thomas Mann. Fortuna di Herman Hesse.

Tonio è l’immagine bellissima delle conseguenze della letteratura. L’essere scrittore è innanzitutto sofferenza. Non c’è dubbio che le pagine del Tonio Kröger rappresentino il testamento letterario dell’autore e della sua sofferta esperienza di intellettuale, negli anni della Germania nazista.

Thomas Mann è – a nostro avviso – l’icona della letteratura tedesca dell’ultimo secolo. Con la sua opera ha saputo interpretare la storia nella totalità delle sue vicende, senza inchiodarla ad unico evento, offrendo la sua narrazione come uno scivolo sul quale scorrono i bagliori di fine ottocento e le pulsioni contrastanti dei primi anni venti del nuovo secolo fino ad arrivare al conflitto tragico della seconda guerra mondiale.

Basti citare tre opere simbolo della sua bibliografia. I Buddenbrok, opera giovanile che da sola gli valse il premio Nobel. La montagna incantata, per il periodo centrale, che nel suo ambizioso progetto si erge a opera-mondo della prima metà del secolo. Il Doctor Faustus, infine, opera che sigilla una bibliografia unica e preziosissima.

 

Differente opinione riserviamo per l’opera di Hermann Hesse. Fortemente avversato da parte della critica internazionale, i suoi libri si sono lentamente imposti come veri e propri long seller.

Nelle librerie è facile trovarsi di fronte a sezioni interamente dedicategli, con ristampe di titoli che ammiccano al filosofico/sentimentale, al filosofico/esoterico e al sentimentale/esoterico. (Se si accetta l’opinione sociologicamente comprovabile che questi ultimi elementi godano di uno status di elevata considerazione negli ultimi tempi e che se miscelati nelle giuste dosi comportino notevoli vantaggi economici ai produttori/editori, è presto spiegato il motivo di tale successo).

 

Nulla ha a che vedere il lirismo calibrato di Mann con la piatta narrativa di Hesse.

L’arte per pochi del Kröger, l’esoterismo per iniziati di Sinclair, sono ambienti chiusi, in cui è possibile entrare solo per vocazione e destino. Ma se Mann, attraverso la sua ricerca letteraria, giunge a svelare la natura dell’arte e a sviscerarla fin dentro le sue piaghe meglio nascoste, Hesse, invece, quando giunge all’oggetto della sua ricerca, ne è affascinato e gli soccombe, lascia che trama, personaggi e scrittura si sacrifichino sull’altare dell’esoterismo.

I generali che dimettono le divise e scrivono versi, per Mann, sono inconsci della fortuna che possiedono a non partecipare della natura dell’artista. I ragazzi non marchiati, per Hesse, influiscono negativamente su Sinclair, hanno la colpa di non poter comprendere “il disegno più grande”.    

 

Una lunga amicizia

È chiaro che Tonio e Sinclair siano controfigure degli autori stessi. Se la loro arte li ha portati a creare personaggi e stili differenti l’uno dall’altro, la vita li ha uniti in una amicizia forte e duratura. Essi hanno condiviso viaggi e letture alimentando un confronto sempre aperto su letteratura e mondo attraverso un fitto epistolario e frequenti incontri.

Il giorno in cui Thomas Mann finì di leggere il Demian, quando ancora il libro doveva essere pubblicato, confidò all’amico di trovarlo “un oggetto prezioso”. Da quel parere – a nostro avviso fin troppo generoso – Hesse ne trasse immensa gioia. Come tutta la sua opera, d’altra parte, trasse gioia -e successo – dalle recensioni positive di Mann, che hanno influito, e non poco, sulla fortuna dei libri di Hesse.

Quell’influenza positiva, oggi, ha esaurito i suoi effetti. Mann è rimasto un autore per addetti al settore mentre non si contano più le continue ristampe dei libri di Hesse.

Se ci trovassimo nei pressi di quella panchina qualunque, in un parco qualunque, probabilmente Sinclair risulterebbe più simpatico e socievole del suo amico ottocentesco.

Poco male, noi simpatizziamo per Tonio.    

 

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