Narciso e Boccadoro: le due anime di Hermann Hesse.
12/09/2015 blog

 di Alessandra Giuliana Granata

(giurata Premio Strega 2015)

Che cosa sarebbe stato di Adso da Melk del Nome della Rosa se avesse deciso di abbandonare il saio per seguire la fanciulla di cui si era infatuato? Se state provando a immaginare un probabile sequel, potete rilassarvi. Quella parte di copione è già stata raccontata cinquant’anni prima del capolavoro di Eco dallo scrittore tedesco Hermann Hesse nello Sliding Doors Narciso e Boccadoro (Oscar Classici Moderni Mondadori, pp. 432 € 9,50). La somiglianza fra i due romanzi finisce qui: Il Nome della Rosa vuol essere l’affresco di un’epoca, Narciso e Boccadoro è incentrato sulle tematiche esistenziali care al suo autore: può bastare il solo aspetto spirituale a un uomo per condurre una vita piena e felice? o può, forse, bastargli soltanto la felicità ricercata attraverso un’esistenza esclusivamente mondana? La dicotomia tra spiritualità e istinto, tema centrale della poetica di Hermann Hesse, viene affrontata ancora una volta in una delle opere della maturità dello scrittore.

Quasi una favola

Nella Germania del Basso Medio Evo che di lì a poco sarebbe stata devastata della peste nera, il bellissimo e candido fanciullo Boccadoro obbedisce docilmente al padre ed entra nel convento di Mariabronn. Boccadoro è orfano di madre e suo padre, uomo superstizioso, è convinto che il figlio debba espiare i peccati ereditati dalla defunta moglie attraverso una vita di preghiera. Una volta nel convento, l’immediata simpatia fra lui e l’ascetico maestro Narciso si trasforma in breve in una  forte amicizia. Narciso, di poco più anziano di Boccadoro, è rispettato da tutti per la grande erudizione e saggezza. Ha il dono di saper leggere le anime e scorge il talento artistico che si annida nell’anima di Boccadoro;  intuisce anche il dolore del fanciullo che serba un vago ricordo della madre. In un breve dialogo, riesce a riavvicinare l’amico all’immagine sopita della figura materna e gli profetizza una vita ricca di avventure al di fuori delle mura del convento. Una scorribanda notturna con altri novizi fa conoscere a Boccadoro gli aspetti mondani della vita e la bella zingara Lisa. Abbandonato quella notte stessa il convento e portando nel cuore per sempre l’amico Narciso, va per il mondo per far fruttare il suo talento. Dopo una parentesi amorosa con Lisa, Boccadoro comincia un’esistenza istintiva conoscendo il peccato in tutte le sue forme. Narciso rimarrà sullo sfondo della vicenda progredendo nella vita ascetica e vegliando sull’amico con la preghiera.

Boccadoro cercherà per molti anni nel mondo, stravolto dalla peste, il volto della madre, vagheggiato e assimilato idealmente con quello della madre di Dio. Con il passare degli anni, dopo essere diventato uno scultore talentuoso e aver dato le sembianze dell’amico indimenticato a una statua lignea dell’apostolo Giovanni, si dedica a una scultura della Madonna che avrà i lineamenti della madre perduta.

Il santo e il peccatore

In Narciso  e Boccadoro la battaglia fra istinto e spirito sembra essere stata vinta da quest’ultimo. Nel Lupo della Steppa aveva vinto l’istinto. E la domanda su quale strada debba scegliere l’uomo per raggiungere una vita piena rimane, dunque, senza risposte. Neanche la morte sembra risolvere il quesito, però illumina su un particolare: la fugacità della vita spinge inevitabilmente gli esseri umani a scegliere un solo percorso. Nessun uomo può, per quanto è in suo potere, vivere più di un aspetto dell’esistenza. Potrà tentare di assaporarne molti, ma non potrà  svilupparli e il suo percorso sarà incompleto e insoddisfacente. In quest’opera, il protagonista assoluto sembra essere Boccadoro. Eppure di Narciso, come di un amico rincontrato dopo anni di distanza nei capitoli finali, stupisce la spiritualità umanissima raggiunta nel chiuso del convento. La sua potrebbe sembrare una vita sprecata e senza senso. Ci si potrebbe aspettare un’involuzione del personaggio, fossilizzato o inaridito, nel tentativo di sopprimere aspirazioni terrene, o rimasto fin troppo ingenuo perché non conosce il mondo. Non è così: divenuto ormai abate con il nome di Giovanni, ritrova quasi per caso Boccadoro e lo salva da una fine vergognosa. Inaspettatamente in lui non c’è scandalo per la condotta dissoluta dell’amico: non un’ombra di superiorità o compatimento nel suo sguardo, non  un briciolo d’orgoglio per la propria condotta irreprensibile: il suo affetto rimane limpido e fresco come nei lontani giorni di Mariabronn. E la statua scolpita da Boccadoro porta in sé i tratti anche interiori dell’abate Giovanni. Il tema del vagabondaggio, già felicemente affrontato in Vita di Knulp non ha in Narciso e Boccadoro la dolce levità di quel racconto. Boccadoro prova le gioie della libertà, ma conosce anche la fame e il dolore, si macchia di crimini orrendi, quali l’inganno e il delitto. Al contrario, Knulp vive in armonia con il Creato non concependo che la vita errabonda possa essere considerata amara da qualcuno e compatendo coloro che, ai suoi occhi, sono schiavi del lavoro e delle loro radici. Il Nobel tedesco sembra aborrire la vita stereotipata che rende infelice Harry Haller – le iniziali tradirebbero un riferimento autobiografico – del Lupo della Steppa e dalle cui maglie sfugge con orrore Knulp. Altra tematica cara ed Hesse sono gli incontri che cambiano la vita dei suoi protagonisti solitari e insoddisfatti, come accade al timido fanciullo Emil Sinclaire del romanzo di formazione Demian. Nel Tonio Kroger di Thomas Mann, il carattere opposto del suo amico Hans, costringeva di fatto Tonio all’effettiva estraneità dell’altro e alla solitudine. In Hermann Hesse per la prima volta due amici diversissimi fra loro si incontrano, si arricchiscono e si separano per potersi, alla fine, completare.

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