Perché, io libraio, tornerò in libreria. (Con aggiornamento)
11/04/2020 blog

di Giuseppe Avigliano

Ci ostiniamo a parlare di simboli. E per l’ennesima volta il cliché delle librerie quale simbolo è venuto a galla. Cominciamo col dirlo chiaro: non siamo un simbolo. C’è stato un momento storico nel quale gli stati più ricchi erano quelli che contavano più tipografie. Bene, lì, in quel contesto, le tipografie (che vendevano anche i propri prodotti e quindi erano anche un po’ librerie) erano simbolo di ricchezza. Non lo siamo più, i parametri di valutazione economica sono cambiati, sono stati stravolti. Sic transit gloria mundi!

Un libraio, tuttavia, ha una sua specificità nell’universo vivo e complesso racchiuso nella parola “commerciante”. E smontiamo subito un’altra convinzione diffusa: non si tratta di una specificità di supremazia etica, morale, spirituale. No! Paghiamo i fitti con libri di ricette e youtubers.

La specificità del libraio sta nella sua scelta di investire e lavorare in un campo in un cui il core business consta di un oggetto, il libro, che è l’eterno designato perdente di ogni rivoluzione tecnologica e culturale.

Agli inizi del secolo scorso, con la diffusione della radio tutti lo davano per morto. Sopravvisse.
A metà del secolo scorso, con la diffusione della televisione tutti lo davano per morto. Sopravvisse.
A fine del secolo scorso, con la diffusione di internet tutti lo davano – ovviamente – per morto. Sopravvisse per la terza volta.
A inizio del secolo in corso, con la diffusione dell’e-reader tutti – ovviamente – lo hanno dato per morto. Ma niente!

Credo sia l’unico oggetto nella storia dell’umanità ad aver assistito al suo funerale per ben quattro volte, senza mai essere morto davvero.

Il libro si rivela tutt’oggi un fenomenale strumento di diffusione delle idee. È un oggetto vetusto, che non si è mai rinnovato nell’aspetto, ma che per qualche strana ragione proprio non vuole saperne di invecchiare.

Allora un libraio sceglie di avere a che fare con un oggetto così, mette insieme un negozio più o meno grande nel quale gli scaffali contengono le pitture rupestri dei cavernicoli e la rivoluzione francese, le corna di Giulia De Lellis e il binario 9 e ¾ di Harry Potter, la filosofia di Sartre e i romanzi di Fabio Volo. E tutto ciò, nel suo insieme, crea un luogo unico, nel quale ognuno riconosce i suoi percorsi preferiti. Nel quale trova rifugio lo studente e la signora che legge Sveva Casati Modignani, la ragazza che ama girare il mondo e il bambino che comincia a leggere sillabando. Tutti insieme agli stessi scaffali, tutti cercando qualcosa di completamente diverso.

Questo è il mondo che conoscono i librai. Che è però un mondo che ragiona da sempre con le logiche della crisi.

Prima del virus, il nemico invisibile era la multinazionale che vende quegli stessi libri con sconti esagerati e spedizioni immediate. Era l’incessante aumento dei fitti dei locali. Era la difficile battaglia per la sensibilizzazione alla lettura in un paese in cui solo 4 persone su 10 leggono almeno un libro all’anno (per rendere l’idea di altre realtà: in Norvegia 9 persone su 10. In Francia, Regno Unito, Belgio e Svezia 8). In un paese in cui legge solo chi proviene da una famiglia di lettori, perché tutt’oggi la scuola ha difficoltà a veicolare la lettura (che è anche un fenomenale strumento di avvicinamento delle classi sociali).

Un libraio è un commerciante, e come tutti gli altri potrebbe applicare politiche di prezzo più vantaggiose. No!
Il prezzo dei libri lo decide l’editore, il margine maggiore se lo prende il distributore, e al libraio rimane una percentuale, che al netto di tutto, se va bene, si avvicina al 30 per cento. E questo su uno scontrino che in media è pari a 18 euro.
Di conseguenza, in quei circa 5 euro di utile per ogni scontrino medio, un libraio sa di dover pagare affitto, tasse, bollette, contributi, stipendi, assicurazione, commercialista, Siae e sponsor per la festa del paese. Più la manutenzione dei locali, perché qualcosa si rompe sempre, siamo umani!

Quindi quando il virus ci ha colti impreparati nel mondo intero e i librai si sono riorganizzati con spedizioni e comunicazioni online, i giornali hanno parlato dei librai come simbolo di resilienza. Bella scoperta! Vendiamo libri, oggetti scampati a quattro funerali!

Ora ecco che i librai sono di nuovo al centro di un dibattito pubblico, dopo l’annuncio della riapertura delle librerie. È giusto, è sbagliato?

È giusto che ci sia la possibilità di aprire. E comprendo in pieno le preoccupazioni di molti colleghi che non lo faranno subito.
Le librerie sono diverse fra loro: indipendenti, con un marchio, con bar annesso. Ogni libreria rispecchia i librai che la animano. Ogni libreria ha una comunità di lettori variegata. Ho la fortuna di gestire una libreria al centro di una città, nella piazza e nel luogo più centrale. Ne esistono ancora poche, di città che si snodano intorno a una libreria.
È una configurazione fortunata; mi fa pensare al fatto che tutti noi abbiamo un baricentro, di cui non conosciamo il luogo preciso, e che ci offre un equilibrio silenzioso e fondamentale.

Alla mia comunità di lettori, quella stessa comunità che mi ha sostenuto nei giorni della chiusura con centinaia di messaggi e con tantissime richieste di spedizioni – nonostante i tempi lunghi, la scomodità, l’incertezza! –, per questa piccola, marginale e virtuosissima comunità, non posso sottrarmi alla possibilità di continuare, tra mille difficoltà, a fornire quel servizio fatto di passione e sacrificio, di condivisione e crescita collettiva.
Ci sarà un momento per parlare di cultura e politiche. E sarà il momento per ribadire, per l’ennesima volta, che noi librai non siamo un simbolo.
Siamo le formiche di una filiera storica e fondamentale, che ci riguarda tutti ma che arriva ancora, purtroppo, a pochi.

Martedì andrò in libreria. Come tutti i sacrosanti giorni di aperture concesse. Non dico che sarò responsabile, perché a fronte di tutto quello detto sopra, ogni libraio è responsabile e conscio delle proprie azioni dal primo giorno di apertura della sua libreria. Lo è allo stesso modo di qualsiasi altro commerciante, che crede nel suo benedetto paese e investe affinché le strade, i borghi e i quartieri siano ancora luoghi della vita e dell’anima.

Se entrerà un lettore sarò lì anche solo per quell’unico lettore.

La battaglia per la cultura noi la combattiamo così. Dietro ogni appello sui giornali, dietro ogni legge più o meno buona, dietro ogni post di assenso o dissenso nei confronti di noi che per primi alzeremo le saracinesche, ci sarà il gesto più antico del mondo: uno scambio commerciale tra un libraio e un lettore, con un libro – un oggetto vecchio sette secoli – che nel silenzio delle nostre stanze, nell’atto della lettura, ha la forza di cambiarci e farci conoscere ancora.

AGGIORNAMENTO
* Ho scritto questo articolo a seguito dell’annuncio del Presidente del Consiglio in cui si annunciava, fra le altre cose, la riapertura delle librerie a partire dal 14 aprile.
A distanza di due giorni, il Presidente della Regione Campania ha emanato un’ordinanza nella quale proroga la chiusura delle librerie fino al prossimo 3 maggio.
La mia libreria, la mia comunità di lettori, risiede in Campania.

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